10/06/10

Vie di fuga

Ho baloccato con questo racconto lungo per molti mesi. Ve lo lascio qui, a mo' di epitaffio. Non e' ancora finito, ma non vuol dire che non abbia un senso.

In un'altra vita, qualcuno mi disse "se non c'è quel qualcosa, scrivere è mero esercizio di calligrafia. esercizio inutile, se si usa un pc". Non ho scordato niente di quello che mi disse quella persona. Saprei ripetere, credo, ogni sua parola scritta, cantata e sussurrata. Non che questo faccia di me una persona intelligente, dal momento che anche i pappagalli sanno ripetere tutto. Ma cosi' e'.

Stephen King finisce tutte le sue introduzioni con un saluto a Constant Reader, Fedele Lettore in italiano. Ecco, io saluto te invece. E ti auguro molto vento nelle vele. (E ovviamente non voglio paragonarmi a King...)


Vie di fuga


1

La mattina del 22 ottobre il cielo era terso e faceva freddo. I grattacieli grigi, rossi, bianchi si stagliavano su uno sfondo azzurro scuro che li rendeva irreali. Le luci della citta' si sarebbero spente di li' a poco. Lo scenario per i primi dieci minuti di traffico cittadino non avrebbe potuto essere dei migliori.

Sull'autostrada, nel silenzio della propria auto, Jack ripassava mentalmente la lista di cose che avrebbe dovuto fare di li' a poco: la revisione del comunicato per la settimana della salute; la revisione di alcuni cartelloni da appendere in bacheca sulle misure preventive per ridurre la possibilita' di contagio della febbre suina (lavatevi le mani sempre dopo aver starnutito; se hai il raffreddore, NON portare i tuoi germi in ufficio: lavora da casa! e ammazza solo i tuoi familiari, pensava Jack); la stesura di un memo interno sulla possibile vendita di una parte della business unit. Ecco, soprattutto quest'ultima cosa gli avrebbe portato via sicuramente un paio d'ore.

Perso tra questi pensieri, Jack arrivo' piu' rapidamente del solito all'uscita 12 dell'autostrada, la sua. Il traffico sembrava scorrere molto velocemente, e se ne rallegro'.

I colori d'autunno stavano facendo un ottimo lavoro nel cambiare vestito al paesaggio. Gli alberi che avevano formato l'avanguardia rossa gia' ai primi di ottobre erano stati ormai raggiunti da tutti gli altri. Non era il Rhode Island, con i suoi ottobri rossi e gialli sogno, ma anche qui l'autunno sapeva stupire.

L'ufficio della compagnia per la quale Jack lavorava, la MegaCorporation Inc., era in un casermone grigio a tre piani, simile a cento altri della periferia di Chicago. Dall'esterno ogni piano era di una sfumatura di grigio diversa, dalla piu' scura in basso, alla piu' chiara in alto. Era brutto, e gli faceva pensare a una nave spaziale sgraziata. Se gli alieni avessero avuto delle navi spaziali netturbine, probabilmente la forma sarebbe stata questa, ripeteva Jack a sua moglie.

La bruttezza esterna aveva una diretta corrispondenza all'interno dell'edificio: un labirinto di muri grigi di diversa tonalita', una serie di uffici (loculi?) molti dei quali senza una finestra esterna. Mobilio di legno scuro, per lo piu', vecchio e scheggiato. Divieto assoluto di appendere quadri o qualsiasi altra decorazione suscettibile di creare problemi per la sicurezza dei dipendenti, recitava uno dei cartelli nella bacheca appena entrati. Jack si era sempre chiesto quale fosse il vero significato del cartello: forse i quadri appesi ai muri avrebbero fatto capire agli impiegati la merda di edificio in cui erano, e la cosa avrebbe provocato un'isteria di massa. Chissa'.

A Jack piaceva l'ultima parte del percorso per arrivare aal suo ufficio: poco prima dell'ultima curva la strada era magnifica: delle colline belle, anche se artificiali, prati verdi con qualche albero sparso, nascondevano alla vista i vari edifici aziendali che si susseguivano in circolo come pietre di un rosario. Alcuni colleghi gli avevano detto che in realta' le colline che gli piacevano tanto erano delle discariche ricoperte. Ma Jack aveva accolto la notizia con una scrollata di spalle. Pensava che il risultato fosse bello davvero. Proprio come i seni rifatti, a volte: chi se ne fregava se erano rifatti se erano rifatti bene?

All'ultima curva prima del suo edificio, getto' uno sguardo allo Starbucks dove molti dei suoi colleghi si fermavano la mattina per rifornirsi della loro dose di blanda caffeina. Sembrava esserci meno gente del solito, e tra le automobili parcheggiate non ne riconobbe nessuna dei suoi colleghi.

Al verde del semaforo, Jack svolto a sinistra, e costeggiando la fila di sequoie piantate da non piu' di un paio d'anni (quanto avevano speso per piantarle gia' cosi' grandi, ecco dove vanno le mie tasse), entro' nel vialetto che lo avrebbe portato al suo ufficio. Destra, una mezza curva a sinistra, destra ancora, e poi l'ultima curva a sinistra, e finalmente avrebbe visto gli ultimi due piani del netturbino interspaziale.

Solo che quella mattina del 22 Ottobre l'edificio non c'era.

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4 commenti:

SIMONA WP ha detto...

Lo sai che mi ricorda molto, anche se é diverso in tante cose, uno script teatrale dove ho recitato moltissimi anni fa. Si chiamava Brasile.

Bello, bravo...

Demonio Pellegrino ha detto...

Simona, grazie. Lo vado a cercare questo brasile...

Annalisa ha detto...

Lo rileggerò, L'ho letto troppo in fretta, mi sa.

Demonio Pellegrino ha detto...

Fai con calma.

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