Inviti superflui (1949)
Dino Buzzati
Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti assieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo per le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spianavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, ne' battesti mai alla porta del castello deserto, ne' camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, ne' ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremmo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade nascono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ora vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremmo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poiche' le anime si parlano senza parola. Ma tu - adesso mi ricordo - non mi dicesti cose insensate, stupide e care. Ne' puoi quindi amare quelle domeniche che io dico, ne' l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, ne' riconosci all'ora giusta l'incantesimo della città, ne' le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient'altro.
Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telefono quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello!" Niente altro diresti perche' noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come fossero nate allora.
Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano. Perche' purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colma di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando sopra di sè una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, ne' dei presentimenti che passano, ne' ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Ne' udresti quella specie di musica, ne' capiresti perche' la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade sugli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E' inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, ne' guarderò le nubi, ne' darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso che ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili da valicare, tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco perche' ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
40 commenti:
ahia.
lafrangia
maddai! e' il mio racconto preferito! Ha una voce "universale": per tutti quelli che lo conoscono ha un'eco personale.
La Frangia, perche' "ahia"? C'e' tutto Buzzati qui...
Fabrizio, concordo, e' difficile secondo me non reagire di fronte a questo breve racconto (ma in generale e' difficile non reagire di fronte a qualsiasi cosa scritta da Buzzati)
Bellissima non la conoscevo. Incredibile che un uomo possa avere tale sensibilita.-La Dama amareggiata..
Anch'io ahia perché, quando uno pubblica un racconto così, sembra tanto un racconto che esce dalla vita (e non da quella di Buzzati).
Ma è bellissimo, davvero.
Viene voglia che qualcuno lo abbia scritto per te stessa, e non per una donna di tanti anni fa.
mi hai fatto pensare al cane che aveva visto dio. e per iniziare la giornata buzzati è una buona cosa :)
Buzzati la sapeva lunga.
Non conoscevo questo racconto: è bellissimo. Anzi, bellissimo è poco.
Il pikkio.
in questo momento non so se volerti molto male o ringraziarti per aver condiviso questa bellezza con noi.
in ogni caso sono troppo impegnata a contorcermi le dita per fare in modo che le persone qua attorno non si accorgano del mio improvviso crollo emotivo.
maledetti ormoni.
Io avrei voluto scrivere Il signore delle mosche, senza dubbio. O L'Ombra dello Scorpione.
Si, lo so, punto molto in alto!
La Dama - poi mi dicono sessista a me.
Annalisa, ero indeciso tra questo e uno di Lovecraft sui miti di Chtulu. Se avessi pubblicato quello spero che a nessuno sarebbe venuto a mente che forse veniva dalla vita vera...
Ladoratrice, il cane che ha visto dio era molto bello anche quello. Forse un po' lungo, ma bello.
Buzzati era un genio anche lui.
Elle, maledici Buzzati, non me...
Stefano: ne devi scegliere uno: signore delle mosche o l'ombra dello scorpione?
Io avrei voluto scrivere La versione di Barney.
O forse viverla.
Bertoldo
Bertoldo, grandissimo libro! E' nella mia top10 di sempre!
@ Elle ognuno di noi, credo, potrebbe aver vissuto la storia del racconto
@ Demonio grazie per averlo condiviso, non lo conoscevo
A me piacerebbe aver scritto Madame Bovary (ogni tanto mi sento come lei)
Simona, e' interessante che sia tu sia Bertoldo abbiate scelto i libri sulla base del fatto che riflettano la vostra vita o la vita che avreste voluto vivere.
Io invece sono indeciso tra libri che poco hanno a che fare con la mia storia, ma che mi hanno fatto sognoare o che sono scritti da Dio...
Ma non c'e' un approccio giusto e uno asbagliato alla questione, almeno in questo caso!
"Ahia" perchè quelle che evoca questo racconto sono emozioni abbastanza universali.
Solo che quando poi uno le vede spiaccicate su una pagina web nella migliore forma possibile, beh, si fanno sentire un po' pi forte.
Io avrei voluto scrivere (ma assolutamente non vivere) Le Operette morali.
Infatti c'ho la gobba. Anzi, due.
lafrangia
Frangia, tutto vero.
Le operette morale non le ho lette.
bello e tristissimo...io voto "il piccolo principe" e il suo colore del grano...
sai che secondo me invece non e' cosi' triste? del piccolo principe ho ricordi molto sbiaditi.
Allora L'Ombra dello Scorpione per tutta la vita.
bisognera' che me lo legga, sto libro...
Non lo hai letto????
Oh my gosh...
oh, ho contrallato: e' THE STAND in inglese!!! Non avevo mai capito che l'ombra dello scorpione fosse the stand!!! Perche' cazzo l'hanno tradotto a quel modo????
Io vorrei aver scritto "Saltatempo", di Stefano Benni. Non perché sia il mio romanzo preferito ma perché lo sento vicinissimo al mio modo di immaginare. In cui continuamente il reale e l'inventato si fondono e si modificano a vicenda. Ed è un romanzo di formazione senza la pretesa di esserlo.
Buzzati mi tocca riscoprirlo in toto, è uno di quegli autori di cui ho letto pochissimo (solo tartari) e di cui quel pochissimo ho amato senza però concedergli un bis, chissà perché
Io non maledico nessuno, casomai me stessa
Ema, saltatempo lo lessi ed e' stato uno dei Benni che mi piacque di piu'.
elle, no, ma perche'? non volevo deprimere le persone con questa cosa...
Ah, ecco. The Stand.
Francamente non so perché lo abbiano tradotto in quel modo, ma l'Italia non è nuova a questo genere di operazioni. Ti basti pensare che l'imminente Under the Dome, in uscita questo Venerdì, probabilmente si chiamerà The Dome e basta. E se la copertina resta quella provvisoria giuro che mando agli uffici della Sperling una lettera all'antrace.
Aspetta Stefano, potrebbe andare peggio: potrebbero tradurlo con "Sotto la cappella"...
Non mi hai depresso, anzi, ti ringrazio ancora per questo racconto che non conoscevo.davvero!solo che non mi aspettavo un nodo così alla gola a leggerlo.solo una reazione, comune a tanti altri commenti.ho apprezzato molto,la commozione è solo un contorno con cui mi ritrovo spesso a fare i conti e quando sono a lavoro è un macello!!!!
allora sono contento: e' la stessa reazione che ho avuto io leggendolo.
No, "Sotto la cappella" no! Mi rifiuterei di comprarlo in italiano! :D
Preghiamo, allora.
Io avrei voluto scrivere "Il deserto dei Tartari">
E' bellissimo, toccante, pieno.
Ed entrato molto nelle mie emozioni.
Grazie Demonio
Laura, concordo: e' uno di quelli tra cui sono indeciso.
Thekan, prego!
Ci penso da una settimana e mica è facile decidere quale libro mi sarebbe piaciuto scrivere...mumble mumble...
Intanto ti stupirò dicendoti che non avrei voluto scrivere "Natura morta con picchio".
Certo, il "Visconte dimezzato", oppure "Achille piè veloce", che ho letto ultimamente.
Salut, il picchio.
Esatto, picchio, non e' cosi' facile. Non mi stupisci con natura morta con picchio, che pure mi e' piaciuto. Gia' mi dicesti che anche a te avevano dato fastidio alcune cose del libro.
Questo brano, esattamente una ventina di anni fa, ha segnato una svolta importante nella mia esistenza, così come, a distanza di vent'anni, pure quest'anno ha lasciato un segno che diverrà indelebile.Mi fa sempre così strano rileggerlo nell'esperienza anche di altre persone...
Ciao Anonimo, benvenuto - credo che sia uno di quei racconti al contempo universali e privati, che sanno toccare tutti. un altro esempio e' il libro Norwegian Wood di Murakami...
Tutta la raccolta contenente il racconto in questione, che porta il titolo "La Boutique del Mistero", contiene questo trasporto di umanità oltre ogni forma di pensiero. E' vero, ognuno può riconoscersi: diventa più difficile da digerire quando l'oggetto dei pensieri di Buzzati anche per noi è appena uscito dalla nostra esistenza... Ma anche questa è vita e forse per questo i toni ed i colori di questi momenti sono più intensi sebbene meno brillanti...
Verissimo - l'ho finita di rileggere non piu' di due settimane fa. E' meravigliosa.
Posta un commento